Margherita e Filiberto, una storia d’amore scolpita nella pietra di Brou

Margherita e Filiberto, lei arciduchessa d’Austria, lui duca di Savoia, vengono uniti per calcolo politico ma si innamorano al primo sguardo. Queste felicissime nozze sono interrotte dalla morte del giovane sposo e l’inconsolabile duchessa decide di sublimare nella pietra il loro amore eterno e perfetto. Oggi Margherita e Filiberto riposano l’una accanto all’altro nella vasta abside della chiesa del monastero di Brou a Bourg-en-Bresse [1] all’interno di due sontuosi monumenti funebri, due tombe talmente belle che persino la Rivoluzione francese, nel suo furore devastatore, non osa toccare. Anzi le sepolture sono addirittura tre perché sulla destra riposa Margherita di Borbone, madre di Filiberto e nuora di Margherita d’Austria. Il gisant del duca di Savoia non fissa la luce di fronte a sé, ma ha la testa leggermente reclinata su un lato e contempla la moglie, la quale, a sua volta, è girata verso di lui. Sono gli sguardi di un amore che va ben oltre la morte, di cui la chiesa di Brou è al tempo stesso testimone e prezioso reliquario.
Una giovane arciduchessa garantisce la pace
Margherita d’Austria nasce in una grande dinastia, ma non è una ragazza fortunata. Ha due anni quando muore sua madre, Maria duchessa di Borgogna; l’anno seguente il padre, che ha la fissa delle strategie politico-matrimoniali, la destina in sposa al giovane re di Francia, Carlo VIII. Come prassi nelle famiglie reali, una volta definiti gli accordi, la fidanzata viene immediatamente trasferita nel nuovo paese, per crescere insieme al futuro consorte, adattarsi alla nuova corte, apprenderne gli usi e la lingua e soprattutto servire da garanzia al mantenimento degli accordi.
Carlo di Valois è solo teoricamente un partito splendido: il giovane re è basso e leggermente rachitico, nulla a che vedere con gli aitanti gentiluomini delle natie Fiandre e con il padre, l’affascinante arciduca Massimiliano d’Asburgo, futuro imperatore del Sacro Romano Impero. Questi però sono dettagli trascurabili; inoltre il parere di Margherita non è richiesto, lei, innocente piccola arciduchessa, è solo un oggetto di scambio.
Tra fiamminghi e francesi non è mai corso buon sangue e questo matrimonio può risolvere una vecchia controversia: Luigi XI, padre di Carlo, ha fatto di tutto per riprendersi le province di confine, quegli stessi territori che ora, come dote di Margherita, saranno annessi con pieno diritto al regno di Francia. Gli Asburgo sono (e saranno sempre) maestri nel concludere accordi di questo genere. I matrimoni sono preferibili a una guerra e il loro celebre motto – Alii bella gerant, tu felix Austria nube – è una dichiarazione d’intenti. La bambina, sistemata con un imponente seguito di dame e cavalieri nello splendido castello di Amboise, garantirà la pace. In realtà è una specie di ostaggio, anche se viene trattata da quasi regina; per fortuna il maniero è uno dei più belli della Loira e il futuro marito trova deliziosa la sua piccola sposa. Inoltre l’ambiente è piacevole e Margherita, intelligente e molto portata per lo studio, può occupare il suo tempo facendosi una cultura e sognando – imprudente – il grande amore. L’arciduchessa legge, si appassiona alle arti e si prepara a essere una splendida sovrana francese. Però, quando ha circa undici anni, qualcosa cambia nella strategia delle alleanze: Anna di Beaujeu, reggente del regno a nome del fratello ancora minorenne, decide di guardare altrove e combina per Carlo un matrimonio ancora più vantaggioso con Anna, l’erede del ducato di Bretagna, territorio al momento più interessante delle ricche ma riottose Franca Contea e Artois. Il futuro sovrano, pur divorato dai sensi di colpa, liquida in fretta l’amata, che viene rispedita al mittente. Parecchio offesa e molto amareggiata, torna dal padre la fanciulla e nel suo animo resteranno per sempre un certo retrogusto amaro e una forte antipatia per la Francia.
Il secondo patto matrimoniale
Massimiliano ovviamente si infuria[2], ma è pieno di risorse e decide di usare la figlia, ormai adolescente e abbastanza provata dall’umiliante ripudio, per un’altra prestigiosa alleanza, questa volta doppia. Il prescelto è don Juan, principe delle Asturie, figlio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, i “re Cattolici” della Spagna recentemente unificata. Contemporaneamente Giovanna di Castiglia sposerà il fratello di Margherita, Filippo “il Bello”. Altro distacco, altro viaggio[3], altro matrimonio. Don Juan vede per la prima volta la sua promessa il giorno delle nozze nella cattedrale di Burgos e un’occhiata gli è sufficiente per innamorarsi follemente di questa fanciulla bionda dalle labbra carnose e misteriosi occhi a mandorla. Fragile, probabilmente già ammalato di tubercolosi, il principe consuma le sue ultime forze in appassionate notti d’amore. Il risultato è che sette mesi dopo la diciassettenne Margherita è vedova e incinta; però il frutto di questa fugace unione – una bimba – vive solo poche ore.
Anche l’esperienza spagnola è giunta al capolinea, ma l’avaro re Ferdinando nega a quella che è ormai solo l’ex principessa delle Asturie sia la rendita vedovile sia il denaro per il viaggio di ritorno. L’arciduchessa riesce comunque a rientrare in patria e , prostrata da questa seconda vicenda matrimoniale, decide di prendersi una pausa di riflessione. Purtroppo Massimiliano non la pensa allo stesso modo: la sua giovane e bella figlia può avere ancora un ruolo sullo scacchiere delle alleanze asburgiche e per lei, infatti, sono già pronti numerosi pretendenti. Rassegnata a una nuova partenza verso un paese e uno sposo sconosciuti, Margherita questa volta ottiene almeno di poter dire la sua e, fra i numerosi “papabili” sceglie il duca di Savoia.
Filiberto II “il Bello” non è il candidato più prestigioso ma serve gli interessi di Massimiliano perché la piccola Savoia è la “porta delle Alpi”, strategica quindi per le mire espansionistiche degli Asburgo. Piuttosto, come mai questa giovane donna, che avrebbe potuto essere regina di Francia e poi regina di Spagna, sceglie proprio Filiberto? È difficile dirlo, molto probabilmente nella mente dell’arciduchessa riaffiora il ricordo di un’infanzia comune: il duca e la sorella Luisa, cugini materni del piccolo re Carlo VIII (figlio di Carlotta di Savoia), sono orfani e, grazie alla generosità della reggente Anna di Beaujeu, anche loro vengono allevati ad Amboise insieme a Margherita.
Nel frattempo il giovane Savoia è diventato un uomo affascinante, grande amante dei tornei e della caccia – Mercurino da Gattinara (futuro consigliere di Carlo V) lo definisce l’ «uomo più bello dell’epoca» – inoltre Filiberto è coetaneo di Margherita, parla la sua stessa lingua ed è stato educato nella stessa cultura. Questa volta per lei si tratta di un passaggio lieve e non di uno strappo doloroso da tutto quanto le è caro e familiare. E poi, come non ricordare che le terre di Savoia sono state il nocciolo dell’antico e potente ducato di Borgogna dei suoi avi? Insomma, con questa nuova unione l’arciduchessa riannoda i suoi legami con il passato invece di tagliarli di netto.
Margherita e Filiberto sposi felici
Malgrado le prove e le delusioni, Margherita è ancora una donna giovane, allegra e vivace e Filiberto diventa il simbolo della rinascita a nuova felice vita. I due si sposano a Romainmôtier, piccolo priorato sperduto fra le valli savoiarde, nei primi giorni del dicembre 1501 con una cerimonia intima e molto semplice. Nulla a che vedere con lo sfarzo delle nozze nella splendida cattedrale di Burgos, ma in Spagna l’arciduchessa aveva trovato un ragazzo debole e malato, mentre qui davanti a lei c’è con un uomo ansioso di reclamare i suoi diritti di marito. Dopo la cena il duca trascina la moglie nella camera preparata per l’occasione e gli sposi, travolti dalla passione, ne escono solo alle dodici del giorno successivo accolti dai sorrisi compiaciuti dei cortigiani. I duchi sono una coppia splendida, giovane, innamorata, felice e l’evidente superiorità intellettuale della giovane donna non nuoce alla loro intesa.
I ritratti di Margherita e Filiberto (National Gallery Londra)
Filiberto ha un buon carattere, è gentile, sempre di ottimo umore, gioviale, molto amato dalla sua gente, ma non si interessa agli affari di Stato, da anni nelle mani del fratellastro René “il Gran Bastardo di Savoia”, il quale conduce una politica sfacciatamente filo francese. Decisamente troppo filo francese per i gusti della neo duchessa, tanto che, poco dopo le nozze, Margherita prende in mano la situazione e per la prima volta si mette in gioco sul terreno politico, mostrando subito una notevole attitudine al comando; il cognato René, accusato di tradimento e malversazione, viene cacciato oltre frontiera, e lei assume sulle proprie spalle il peso del governo. La duchessa è un’amministratrice accorta e per il piccolo Stato sono anni di pace e serenità, ma nel settembre del 1504, durante una caccia nei boschi intorno al castello di Pont-d’-Ain, Filiberto accaldato beve avidamente da una fonte gelata. La congestione diventa una pleurite, e il 10 settembre il duca muore lasciando Margherita di nuovo sola a 24 anni. Annientata dal dolore la giovane vedova prende due decisioni: non si risposerà mai più e renderà omaggio alla memoria dello sposo amatissimo con un’opera immensa, meravigliosa e immortale.
Margherita e Filiberto uniti per sempre
Anni prima Margherita di Borbone, madre di Filiberto, aveva fatto voto di costruire un monastero quindi l’arciduchessa decide di portare a compimento questa promessa che diventerà il reliquiario del loro amore. Nella Bresse (territorio che le spetta come rendita vedovile) la Asburgo farà edificare un grande convento con una chiesa, nella quale troveranno posto la tomba del marito, la sua e quella della suocera. Non è una necropoli reale, perché la coppia non ha eredi e l’edificio sacro non sarà mai una parrocchia; si tratta di un mausoleo personale e privato, lo scrigno di un amore perfetto e proprio per questo dovrà essere splendido. La chiesa di Brou, con i suoi marmi preziosamente scolpiti, i vetri, l’oro e le boiserie, è un capolavoro del gotico flamboyant ormai verso il declino e, soprattutto, decisamente insolito a queste latitudini. Margherita, molto devota a Sant’Agostino, affida il monastero agli agostiniani e, poiché Filiberto è morto proprio il giorno della festa di San Nicola da Tolentino (uno dei fondatori dell’ordine) la chiesa viene dedicata al santo marchigiano.
Da Malines, dove è tornata, su richiesta del padre, per occuparsi dei nipoti orfani e governare i Paesi Bassi, la duchessa vedova di Savoia segue con attenzione i lavori, controllando i progetti, scegliendo sculture e decori, assumendo e licenziando gli architetti e i capomastri. Per un quarto di secolo questa donna sfortunata e delusa insegue il sogno di riposare in uno splendido edificio a fianco dell’uomo amato. Ci vorranno più venti anni per completare l’opera e Margherita non la vedrà mai, però attraverso il cantiere di Brou mantiene vivo il ricordo di Filiberto e del loro amore. La chiesa ha una facciata riccamente decorata, mentre all’interno è sobria, chiara, essenziale, la luce entra dalle vetrate incolori a bagnare il marmo candido, ma lo splendore vero è oltre il transetto, nel coro dove si trovano le tre meravigliose tombe, nelle quali l’iconografia religiosa si confonde con le allegorie e i simboli araldici: margherite intrecciate, stemmi della Savoia e della Borgogna.
Margherita commissiona le tombe al suo artista di fiducia, il tedesco Conran Meit che realizza tutte le delicate stature di contorno (putti, santi, animali, figure allegoriche) e ben cinque gisant. L’arciduchessa infatti vuole per lo sposo e per se stessa vuole delle sepolture a due livelli (nelle quali il defunto è raffigurato sopra due volte vestito con gli abiti di corte e sotto avvolto in un sudario funebre), mentre la suocera avrà un semplice sepolcro a nicchia con un solo gisant.
Filiberto è al centro dell’abside, protagonista assoluto, vestito con gli abiti ducali e un leone ai piedi nella parte superiore della tomba, mentre sotto appare già morto ma sempre giovane, bello e sereno. Margherita si trova alla sua sinistra dentro a una sontuosa sepoltura a baldacchino perché se lui era duca di Savoia lei è pur sempre una arciduchessa, figlia dell’imperatore del Sacro Romano Impero, e anche da defunta il rango conta. Il gisant superiore mostra una donna matura, mentre sotto c’è una Margherita giovane e bella.
Nel quarto di secolo che la separa dal ricongiungimento con l’amato Filiberto, Margherita non starà con le mani in mano a piangere il suo amore perduto: l’onnipresente padre accetta la sua scelta di restare senza un marito ma le chiede di governare i Paesi Bassi e soprattutto di occuparsi degli orfani del fratello Filippo. Margherita sarà una madre affettuosa per i ragazzi rimasti senza genitori (dopo la morte di Filippo, nel 1506, Giovanna di Castiglia è sprofondata nelle tenebre della follia) e una saggia reggente. A Malines l’arciduchessa tiene una corte raffinata frequentata, fra gli altri, da Erasmo da Rotterdam e da Adriano da Utrecht (il futuro papa Adriano VI); a tempo debito farà in modo che il nipote Carlo sia eletto imperatore del Sacro Romano Impero e concluderà con la cognata Luisa di Savoia, madre del nuovo re di Francia, Francesco I, la pace di Cambrai, la “Pace delle Dame”. Margherita d’Austria muore il 1° dicembre 1530 e saranno in molti a rimpiangerne la saggezza e il buongoverno.
[1] Tranquilla cittadina oggi nella regione Rhône-Alpes, ma fino alla metà dell’Ottocento appartenente al ducato di Savoia.
[2] E parecchio anche perché con Anna di Bretagna aveva concluso un accordo e si era già svolta una cerimonia nuziale per procura. Quindi la figlia perde un marito e lui stesso una moglie
[3] Per mare, questa volta, e a causa di una tempesta Margherita rischia anche la vita, ma, quando sembra che la nave stia per fare naufragio, trova anche il tempo e il coraggio per scrivere il suo ironico epitaffio: «Qui giace Margherita, che ebbe due mariti e morì signorina».
NB – questo post è la riedizione – ampliata e corretta – di un post pubblicato nel 2012 a sua volta riedizione di uno dei primissimi articoli scritti per il blog. Ho deciso di ridare al post una nuova veste (e nuove foto) perché volevo approfondire il lato artistico e fornire qualche dettaglio su questa splendida chiesa che tutto sommato non è poi così irraggiungibile dall’Italia (circa 300 km da Torino) e me vale assolutamente il detour se siente in zona.