La saga dei Medici, da ottobre su Rai Uno

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Giovanni de’ Medici ovvero: come diventare vergognosamente ricchi nel Medioevo senza essere ufficialmente usurai.  “È con Giovanni che la famiglia Medici iniziò la sua incredibile ascesa al potere: iniziò come mercante di tessuti e finì per fondare la più grande banca dell’epoca.”. Così recita la didascalia della foto che ho preso dalla pagina ufficiale della serie tv su Facebook. Ma le cose non stavano proprio così, come vedrete. Inoltre mi sa che c’è un lieve errore nell’anello (vedi foto sotto), che di palle dovrebbe averne 11. Fu il figlio Cosimo che le diminuì a 8. Ma torniamo a noi.

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Era da tempo che desideravo fare un altro post su Medici e poi –tac!- arriva la RAI [la serie è prodotta dalla Lux ] che mi ruba l’idea. In realtà ero più interessata a scrivere qualcosina sugli ultimi membri della dinastia ma, visto il plot della serie tv che andrà in onda tra un paio di settimane (e pure in anteprima mondiale assoluta, eh, mica pizza e fichi!), ho preferito spiegare qualcosina sul tema. Così, giusto per orientarsi meglio.

La saga dei Medici: le origini, queste sconosciute

Poco, pochissimo si sa sulle origini della famiglia Medici. In tempi in cui leggere era l’appannaggio di pochi e scrivere di pochissimi, avere qualche informazione in più su una famiglia della middle class tendente al basso è decisamente difficile. Intanto si deve tenere presente che scrivere, leggere e fare di conto sono saperi ben distinti, spesso lasciati a chi li pratica di mestiere. Inoltre, spesso le persone non sapevano con esattezza né l’anno della propria nascita né la data, almeno fino al Concilio di Trento che obbliga i parroci a tenere i “registri delle anime”. L’unico modo per documentarsi su questi tempi, quindi, è quello di andare a ravanare nei registri delle cariche delle varie città, sperando che esistano ancora. Ringrazio quindi chi l’ha fatto e ha poi scritto tanti bei libri utili con le sue ricerche.
Ma per tornare alla nostra famiglia preferita: cosa sappiamo dei loro inizi?
Certezze ce ne sono pochissime, DI SICURO però il nome e lo stemma NON derivano dal mestiere di medico, come invece vorrebbe la vulgata messa in giro alla corte di Francia all’arrivo della prima regina toscana, volta ovviamente a denigrarla per quegli avi non proprio illustri. Sembra che l’origine del nome nasca da tal Medico, figlio di Potrone, vissuto nella seconda metà del secolo Mille. Da lì a prendere le denominazioni “di Medico” e poi “dei Medici” mi pare che il passo sia breve. Altre versioni plausibili non ne conosco e vi posso assicurare che cercare di parlare con una certa cognizione di causa delle origini della famiglia Medici è un delirio: non solo prolificano come conigli in un periodo in cui non se li fila nessuno e le notizie che si hanno su di loro sono pochissime, ma danno ai figli più o meno gli stessi nomi: Averardo e Chiarissimo vanno per la maggiore ma hanno buoni riscontri anche Alamanno (nella doppia forma Alemanno) e Salvestro (o Silvestro). Ma come, non si chiamavano tutti Cosimo e Lorenzo?, direte voi. Ok, calmi. Questo è il motivo per cui leggere questo post sulla saga dei Medici può essere illuminante.
Non si sa di preciso QUANDO la famiglia lascia il natio (e splendido) Mugello per andare a Firenze ma già dalla metà del Duecento i Medici sono una casata di banchieri abbondantemente inurbati nella vita cittadina della città. Il che mi riporta allo stemma: la stessa voce “francese” di cui sopra vorrebbe anche che le palle dello stemma rappresentassero le pillole medicinali (rosse, al contrario di quelle bianche di zucchero semplice). Non sembra essere vero neanche questo. Francesco Cardini, intervenendo sullo stemma mediceo durante un convegno di studi, dice che “l’’opinione più accreditata vuole che lo stemma, che nella forma più antica sarebbe stato un campo d’oro seminato di bisanti vermigli (o, meglio, torte vermiglie, essendo i bisanti per definizione smaltati d’oro o d’argento), sia derivato, mediante inversione degli smalti, dall’insegna dell’Arte del Cambio (di rosso, seminata di bisanti d’oro), alla quale i Medici si erano iscritti dopo essersi stabiliti a Firenze dal Mugello”.
Sembra quindi che i Medici avessero scelto il proprio stemma in base alla professione di famiglia.
Ma esattamente, in cosa consisteva essere banchieri e, soprattutto, cambiatori nella Firenze (e nel mondo) medievale e rinascimentale?

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Stemmi quasi senza colori a confronto: quello a sinistra è quello usato da Piero il Gottoso quello a destra è dell’Arte del cambio. Non sono riuscita a trovare foto di stemmi medicei con ancora tutte e 11 le palle.

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Stemmi a colori a confronto: di nuovo a sinistra quello mediceo a destra quello dell’Arte del cambio. Da notare l’inversione dei colori.

Come fare soldi senza peccato: le Cayman del Medioevo

Innanzi tutto bisogna considerare che gli affari bancari non erano esattamente quelli che conosciamo oggi. Perché, anche se erano già in circolazione assegni e cambiali, su tutto aleggiava lo spettro del peccato di usura. La Chiesa condannava come tale TUTTO il margine di guadagno che derivava dai prestiti semplici. Per fare un esempio, c’erano i banchi al minuto (cioè per gli affari in piccolo) che erano fondamentalmente quelli che oggi si chiamano banchi dei pegni. I loro gestori, sia cristiani che ebrei, erano bollati come usurai manifesti e ritenuti quindi peccatori gravi. Tuttavia questi banchi venivano tollerati, come le case di piacere, come male minore e necessario. Il problema era che il comune non poteva né tassare né dare licenze a questi colpevoli, quindi la situazione venne risolta aggirando l’ostacolo religioso con una “multa” annuale di circa 2000 fiorini* per chi commetteva il “detestabile peccato d’usura”. Una volta pagata quella che, in fin dei conti, era una vera e propria tassa, si era “liberi e assolti da ogni altra censura, penalità o esazione”.
Il problema è che i Medici erano impegnati nei grandi banchi. Come si poteva fare (un sacco di) soldi se gli unici guadagni possibili erano gravati dal peccato di usura? Semplice: col cambio.
«La proibizione dell’usura non impedì il progresso della banca, ma indagini recenti hanno dimostrato che certamente deviò il corso del suo sviluppo. Siccome ricevere un interesse era escluso, i banchieri escogitarono altre vie per prestare con profitto, e il metodo preferito fu quello del cambio con le lettere (cambium per litteras). Esso non consisteva nell’eseguire operazioni di sconto**, come si fa oggi, ma nel negoziare cambi pagabili su altra piazza e quasi sempre in altra moneta. L’interesse, naturalmente, era nascosto nel prezzo della tratta, la quale era giustamente chiamata “lettera di cambio”. Sebbene non si possa negare la presenza dell’interesse, per quanto non visibile, i mercanti argomentavano – e la maggior parte dei teologi accettava questo punto di vista – che un’operazione di cambio non era un mutuo (cambium non est mutuum) ma o una permuta di monete (permutatio) o una compravendita di divise estere (empio venditio). In altre parole, l’operazione di cambio era adoperata per giustificare l’operazione di credito, e i profitti speculativi sul cambio servivano da mantello per coprire l’interesse. Tuttavia si ragionava che il cambio non era usuraio perché dove non c’è mutuo non può esserci usura.
Nel Medio Evo -quindi – la banca consisteva nella compravendita delle cambiali, e non nello sconto, perché le cambiali non erano negoziabili (cioè girabili), ma si compravano e vendevano al corso del cambio. Il datore che aveva denaro da impiegare e comprava una cambiale, acquistava divise estere o un credito in moneta estera, ma non era in grado di calcolare il suo profitto o la sua perdita finché non faceva “i suoi ritorni”, cioè finché non riconvertiva la moneta estera in quella nazionale. Naturalmente si poteva “fare ritorni” in merci, in contanti oppure in cambiali, ma di solito i banchieri facevano i loro ritorni per lettere di cambio. […] La conseguenza fu quella di legare la banca al cambio, manuale o per lettere che fosse. È interessante notare, a questo proposito, che la corporazione dei banchieri a Firenze si chiamava Arte del Cambio. ». Quindi, chi aveva soldi da investire, andava all’estero e comprava cambiali in valuta estera. Con la scusa del tasso di cambio, veniva infilato nella transazione anche l’interesse che costituiva il margine di guadagno dell’affare. Bisogna considerare che estero era tutto ciò che usava una moneta differente dalla propria. Oltre quindi a Marsiglia, Parigi, Londra, Vienna, Ginevra ecc da considerare come estero erano quindi Venezia, con il suo zecchino, Milano (ambrosino), Genova (genovino), Napoli (carlino), Palermo ecc. In questa moltitudine pecuniaria, sarà proprio il fiorino a trionfare, sostenuto dall’eccezionale vitalità dei cambiatori fiorentini. Questa scalata verso l’egemonia finanziaria non sarà priva di rischi: moltissimi banchi falliscono a causa di investimenti sbagliati, basti pensare ai Bardi che vanno in bancarotta (insieme ai Peruzzi) a causa dei prestiti fatti alla corona inglese durante la Guerra dei Cent’anni contro la Francia. Entrambi sono creditori di cifre da capogiro, si parla di circa 600.000 fiorini solo da parte dei Peruzzi (l’equivalente di circa 66.000.000 €, sì, sessantasei milioni di euro).
Perdonate la digressione finanziaria ma mi era necessaria per far capire su che cosa si basasse la fortuna di una famiglia che, in fin dei conti anche se per poco, ha fatto la storia di un intero continente.
In questo stato di cose «la famiglia Medici fa già una buona figura fra i popolani di fronte al partito dei grandi borghesi. Un tale Bartolomeo de’ Medici si distingue nella lotta fra le due fazioni. Silvestro gli succederà: come abbiamo visto, la sua partecipazione all’insurrezione dei ciompi è determinante. Fino ad allora, i Medici si collocano ad un livello medio di ricchezza. Nel 1364, in occasione di un prestito forzoso, vengono tassati di 304 [circa 33.440 €] fiorini quando gli Strozzi, per esempio, sono sottoposti alla tassa di 2062 fiorini [circa 226.820 €]. Ora, la ricchezza e la riuscita negli affari sono criteri con cui a Firenze si selezionano le persone eleggibili alle cariche e gli esperti chiamati a dare la loro opinione sulle istanze dello Stato. I Medici figurano solo raramente nei collegi e nei comitati. D’altronde sono danneggiati dalla mancanza di coesione: i nuovi rami di una famiglia divenuta estremamente numerosa lottano violentemente fra di loro, al contrario di quello che accade con gli Strozzi o con gli Albizzi. […] Poi, alla fine del XIV secolo e all’inizio del secolo successivo, coloro che sono scampati all’esilio complottano contro lo Stato e sono a loro volta esiliati: nel 1400 nella città restano soltanto i figli di Vieri de’ Medici e di Averardo che prende l’appellativo di Bicci, dal nome di un usuraio del tempo di Dante.***».

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Il fiorino d’oro è LA moneta del momento. Attualmente 1 fiorino equivale a circa 110 euro. Tirate le somme e fate voi.

L’uomo da cui la fortuna di una famiglia ebbe inizio.

La fortuna dei Medici si deve per lo più a Giovanni, interpretato nella serie niente meno che da Dustin Hoffman, nella realtà padre di Cosimo e Lorenzo e bisnonno del Magnifico. Alla morte del padre Averardo detto “Bicci” (avvenuta nel 1363, quando Giovanni ha solo tre anni), dopo aver restituito la dote alla madre (800 fiorini) e fatto un’elemosina riparatrice per l’usura teoricamente non praticata, ai cinque figli resta ben poco. Finché, nel 1383, Giovanni sposa Piccarda “Nannina” Bueri. Il matrimonio sembra essere armonioso, tanto che non si hanno notizie di “frutti della mano sinistra”, che sono e saranno una costante nella famiglia Medici. Soprattutto, la moglie lo aiuta perfino nella conduzione degli affari. Di cinque figli, però, sopravvivono in due, Cosimo e Lorenzo. Gli altri due maschi muoiono giovani, la femmina invece poco prima delle nozze. Piccarda porta in dote a Giovanni 1500 fiorini: questo gli permette, due anni dopo, di diventare socio del cugino non-proprio-di-primo-grado Vieri (che doveva essere un personaggio di spicco se il 20 luglio 1378 viene eletto cavaliere a Firenze), nella filiale di Roma presso la quale aveva già fatto l’apprendistato. Questa filiale, in particolare, è specializzata nel creare raggruppamenti di capitali in occasione della creazione di nuove compagnie, oltre lavorare con la Chiesa romana con un sistema molto simile a quello delle odierne banche svizzere. Un accorgimento che comincia ad usare Giovanni ma che Cosimo metterà a frutto con successo sarà quello di usare un sistema allo stesso tempo meritocratico, autonomo e gerarchico nella gestione dei propri banchi.
“Una compagnia [di persone] che controlla la propria filiale, subordinata ad una compagnia centrale. Ognuna delle filiali era un ente giuridico a sé stante, con un proprio capitale, proprio nome, propri libri, propria amministrazione. I compagni erano i soci, i fattori erano gli impiegati, garzoni o discepoli ragazzi tra i 12 e i 15 anni. Diversamente dagli altri i Medici scelgono i loro direttori di filiali tra il personale. Si trattava di soci minori, che non ricevevano uno stipendio ma una quota dell’utile e un’indennità per le spese di mantenimento.”
Nel 1389 nasce in primogenito Cosimo e quattro anni dopo, nel 1393, Vieri si ritira: essendo i suoi figli molto giovani, vende le sue quote a Giovanni e suo fratello maggiore Francesco, che dissolvono la società e si mettono per conto loro. Ma, mentre il banco del secondo va in rovina nel giro di un paio di generazioni, quello di Giovanni prospera, tanto che nel 1397, due anni dopo la nascita del secondo figlio Lorenzo (avvenuta nel 1395 e dal quale scaturirà il ramo “Popolano”), riesce a trasferire al compagnia a Firenze e a investire nel commercio. L’anno seguente apre una nuova piazza estera, a Venezia. Con l’inizio del nuovo secolo, aumentando in maniera esponenziale la sua ricchezza, accresce anche il suo peso politico a Firenze. Lo vediamo infatti, nel 1401, giudice della gara d’appalto per la porta del Battistero, che andrà a Lorenzo Ghiberti, vincitore su Brunelleschi (ma tranquilli, vent’anni dopo quest’ultimo si prenderà la rivincita aggiudicandosi la realizzazione del Cupolone del Duomo di Firenze. Nella serie è interpretato da Alessandro Preziosi.) mentre nel 1402, per i 13 anni del primogenito Cosimo, Giovanni gli compra e intesta una fabbrica di lana. Farà la stessa cosa per i 13 anni del secondogenito Lorenzo (1407). Sempre nel 1402 viene nominato Priore per la prima volta. Se si considera che 6 priori e un gonfaloniere di giustizia erano i membri della Signoria, cioè il gruppo designato per comandare Firenze, si può ben capire quanto Giovanni abbia svolto un ruolo chiave nell’ascesa medicea.
Dal 1403, inoltre, gli vengono anche affidate ambascerie importanti e delicate. Come priore Giovanni “è solidale con la politica territoriale espansionistica perseguita dal governo. Iniziata verso la metà del XIV secolo con l’acquisizione di Prato e di San Gimignano, la crescita del contado, dapprima diretta verso le terre dell’interno, aveva arrecato a Firenze un territorio circostante di 4900 km2 . L’espansione prosegue verso città importanti dotate anch’esse di un proprio contado. Poco a poco si forma un distretto, una specie di corona di piccoli Stati sudditi, dotati di un sistema fiscale autonomo, ma che ricevono governatori e capitani da Firenze.”.
Una di queste ambascerie delicate e importanti sarà l’annessione di Pisa. Durante le trattative, i pisani chiedono ostaggi ai fiorentini: tra questi vi figura il diciottenne Cosimo di Giovanni de’ Medici. Ma i negoziati vanno in porto e nel 1406 Firenze annette Pisa e i suoi 2000 km2 di contado con sbocco sul mare. Come ringraziamento, l’anno successivo Giovanni guadagna la carica di governatore di Pistoia.
A questo punto, il neonato stato fiorentino è abbastanza grande da potersi ritagliare un posto al sole: nel 1409 riesce a far avvenire un concilio a Pisa. Concilio non di poco conto, visto che la Chiesa romana è in piena lotta interna e di papi in circolazione ce ne sono sempre almeno due, se non tre. L’incontro di Pisa, non convocato né dal papa di Avignone né da quello di Roma, non risolve nulla, anzi, aggrava quello che verrà definito lo “Scisma d’Occidente”.

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L’organigramma del banco de’ Medici. Per quanto autonomi, i fili li tirava sempre una persona sola e cioè Giovanni. Foto scattata dalla sottoscritta.
In alternativa Uno dei due ritratti di Giovanni, fatto da un ignoto e oggi conservato a Palazzo Davanzati (se potete ANDATE!). Mi si dice che al tempo in cui fu dipinto, il soggetto era morto da un po’.

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Una carriera che decolla grazie a un ri(s)catto

Ovviamente si richiede ai notabili d’Europa di prendere posizione. Giovanni parteggia per il cardinale Bartolomeo Cossa, che verrà conosciuto dai posteri come l’antipapa Giovanni XXIII. Per seguire meglio le vicende del nuovo concilio ma anche per fare i prestiti giusti alla gente giusta, nel 1414 Cosimo viene inviato dal padre a Costanza, dove il sinodo è stato convocato proprio dal Cossa. Ma le cose, per Giovanni XXIII, non si mettono molto bene, tanto che è costretto a fuggire travestito da balestriere con l’aiuto del duca d’Austria. Il quale però lo tradisce e lo consegna all’imperatore Sigismondo, che lo usa come pedina di scambio con la Chiesa di Roma per farsi vedere come promotore del superamento della crisi spirituale che imperversa in Europa. Giovanni XXIII rimarrà prigioniero per tre anni finché il Giovanni fiorentino riesce a contrattare e a pagare DA SOLO l’enorme riscatto che c’è sulla sua testa: 35000 fiorini ossia all’incirca 3.850.000 euro. Questo gesto frutterà al Medici un prestigio immenso. Nel frattempo, estremamente provato da questa “disavventura”, Giovanni XXIII si rifugia a Firenze dove, nel 1418, fa atto di sottomissione al nuovo papa Martino V, di passaggio nella città toscana sulla via per andare in Francia. L’Antipapa torna ad essere il cardinal Cossa e muore serenamente a Firenze, dove verrà seppellito nel Battistero al quale aveva donato la reliquia del dito di san Giovanni. Giovanni de’ Medici, ovviamente, rientra nella commissione giudicatrice dei lavori di appalto alla sua tomba.
È un caso se nel 1420 Giovanni viene nominato cavaliere con diritto di portare gli speroni d’oro? Secondo me no. In ogni caso, da questo momento Giovanni diventa “la facciata” pubblica della famiglia de’ Medici: di fatto, le responsabilità di capofamiglia ricadono sempre più su Cosimo. Io però, per non farvi dimenticare le loro origini, vi ricordo che, dal 1397 al 1420, il gettito netto della famiglia è di 113.865 fiorini (circa 12.525.150 euro), provenienti da sei banche (con in tutto soli 17 dipendenti, 5 a Firenze, 4 a Venezia e Roma, 4 fra Napoli e Gaeta) e da due fabbriche.
Nel 1421, Giovanni è nominato addirittura Gonfaloniere di giustizia, la più alta carica della signoria fiorentina, mentre nel 1423 è di nuovo in una commissione: quella per il rifacimento della basilica di san Lorenzo: inizia qui il felice percorso che lega i Medici alla basilica fiorentina, che diverrà nei secoli successivi il pantheon di famiglia.
Come gonfaloniere, la situazione che si trova a gestire è difficile: Firenze è indebitata di circa 12 milioni di fiorini, di cui 1 milione e mezzo sono serviti per comprare Pisa poco più di un decennio prima. Per cui, nello stesso anno, si comincia a lavorare su una legge che prende come esempio il catasto veneziano: tassare con la stessa percentuale sia i ricchi che i poveri. Inoltre gli stati “satelliti”, che fino a quel momento avevano goduto di autonomia fiscale, vengono costretti a pagare forti tasse alla città madre. Questo insieme di leggi viene varato nel 1427: in questo contesto, ufficialmente Giovanni fa buon viso a cattivo gioco, visto che rientra tra quelli che si troverebbero a pagare di più, mentre in realtà cerca di frenarne l’applicazione. A Firenze si piazza tra i promotori di questa nuova legge, mentre di nascosto lui e Cosimo fomentano la rivolta di Volterra, stufa delle intrusioni di Firenze nella propria vita politica ed economica. In caso di ribellione di tutte le città suddite, probabilmente la legge sarebbe stata ritirata. Ma Volterra rimane isolata e i Medici presto silenziosamente ritirano il loro appoggio alla rivolta: meglio perdere il sostegno dei volterrani abbienti che quello della plebe fiorentina. Questo ragionamento può suonare strano se si pensa ai Medici come famiglia egemone a Firenze, alla magnificenza di Lorenzo e alle opere che ci hanno lasciato. Ma è così. Sul letto di morte (avvenuta il 20 febbraio 1429) Giovanni, amorevolmente assistito dalla moglie (che lo raggiungerà qualche anno dopo e che verrà sepolta insieme a lui) e dai figli, consegna loro il proprio lascito morale: quello di conservare il popolo in pace e di far prosperare il commercio. Un consiglio che tutti i suoi discendenti, chi più chi meno ma di sicuro ognuno a modo proprio, si impegneranno a rispettare.
Il suo funerale costa 3000 fiorini e il feretro, lasciato scoperto in quanto onore dovuto ai cavalieri (come anche il pronipote Giuliano e Simonetta “la venere di Botticelli” Appiani), viene scortato da 28 membri della famiglia (intesa in maniera allargata, quindi anche con famigli ecc) tutti vestiti di panno bruno. Tutta la comunità è unanime nel piangere un uomo che tanto ha dato alla propria città.
Ecco perché mi domando che senso ha farlo morire assassinato nella serie tv?

Ma che persona era Giovanni?

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La tomba dell’Antipapa Giovanni XXIII nel Battistero di Firenze, eseguita da Donatello e Michelozzo.

Giovanni de’ Medici: un uomo e il suo lascito

Fisicamente era un Medici, cioè di aspetto non “proprio piacevole” mettiamola così. Robusto (“ben membruto”), “con un viso massiccio e rossiccio, capelli ispidi sulla fronte a baule, zigomi forti e bocca larga, amara. Gli occhi distanti avevano qualcosa di malinconico, in contrasto con l’arguto motteggiare del giovane, privo del “dono della dolce parola””: così viene descritto da Giovanni Cavalcanti nelle sue Istorie fiorentine.
Di carattere schivo, con la battuta salace e pronta ma non un oratore, più adatto alle conversazioni private che ai discorsi pubblici. Nell’eterna lotta tra ricchi e poveri, Giovanni mantiene schierata la famiglia dalla parte dei popolani opponendosi alla potente famiglia Albizzi, capo della fazione elitaria di governo cittadino. Uno dei suoi cugini di infinitesimo grado, Salvestro, sarà l’animatore della rivolta dei Ciompi nel 1378: buon sangue non mente, evidentemente. Queste simpatie popolane salveranno la vita al pronipote Lorenzo durante la congiura dei Pazzi: perché è al grido “Palle! Palle!” che il popolo blocca i congiurati e li consegna al Magnifico. Simpatie, perché in fin dei conti i Medici non sposeranno mai la causa popolana fino in fondo: il loro interesse primario è e sempre sarà la prosperità della propria famiglia. A qualunque costo.
Mentre Giovanni si dedicherà ad un’ascesa regolare e discreta, soprattutto agli inizi della vita pubblica, e sarà un esempio di prudenza, sotto la direzione di Cosimo la famiglia Medici conoscerà un’altra impennata ambiziosa, sia a livello economico che culturale. Infatti per le famiglie dell’élite cittadina con un minimo d’ambizione, era necessario fare quasi a gara per offrire cultura e bellezza alla città. Giovanni ha quindi strette connessioni con Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Michelozzo, Lorenzo Ghiberti. Fa conoscenza con maestri che insegneranno a Cosimo e Lorenzo il greco e l’arabo.
Come sappiamo, questi sono tutti elementi i Medici faranno propri ai massimi livelli. Si può quindi dire che grazie all’imprimatur lungimirante e accorto di Giovanni, una sconosciutissima famiglia di banchieri diventa prima l’ago della bilancia nel firmamento delle famiglie potenti d’Italia, poi la dinastia regnante di uno stato moderno per poi finire ad eternarsi proprio grazie al lascito morale e culturale di questo capostipite discreto.

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Ritratto di Giovanni eseguito dal Bronzino. La cui specialità sembra essere quella di ritrarre i Medici defunti.

Dora/Francesca Panseri

* si calcola 1 fiorino = circa 110 euro. In questa equivalenza viene tenuto conto sia del valore effettivo in carati dell’oro presente nella moneta sia del suo potere di acquisto.

** sconto bancario è il contratto con il quale un istituto di credito anticipa a un proprio cliente l’importo di un credito che egli ha verso terzi e che cede all’istituto. In pratica si realizza una cessione “credito contro corrispettivo”. La ragione di questo tipo di operazione è da ricercare nel bisogno di un privato, solitamente un imprenditore, di ottenere in maniera celere e sicura la disponibilità di una somma di denaro da destinarsi alla sua attività. L’imprenditore in questione, invece di chiedere un prestito o un finanziamento, può decidere di cedere alla propria banca un credito che vanta verso un cliente, riscattandone immediatamente il valore nominale

*** Se la fonte, il Cloulas, fa riferimento alla Tenzone con Forese Donati, sappiate che consiste in uno scambio di feroci sonetti tra Dante e Forese, che il poeta chiama, appunto, Bicci. Ma la cosa strana è che in realtà è Forese a dare dell’usuraio a Dante (la cui famiglia aveva, come molte altre, un banco, probabilmente di quelli piccoli).

 

BIBLIOGRAFIA
C. Gutkind, Cosimo de’ Medici il Vecchio, Marzocco Firenze 1940.
U. Romagnoli, I Medici. Profili e vicende, L. Cappelli editore, Bologna 1939.
M. Vannucci, I Medici, una famiglia al potere, Newton Compton editori, Roma 1987.
E. Pucci, I Medici, gloria del mondo, Bonechi editore, Firenze 1968.
I. Cloulas, Lorenzo il Magnifico, Salerno editrice (edizione speciale per “Il Giornale”), Roma 1986, vol. 1-2.
P. Bargellini, Storia di una grande Famiglia. I Medici., Casa editrice Bonechi, Firenze 1980.
U. Dorini, I Medici. Storia di una famiglia., Odoya, Bologna 2015.
F. Cardini, Le insegne laurenziane in P. Ventrone, Le temps revient, ‘l tempo si rinuova: feste e spettacoli nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, Silvana, Milano 1992.
R. de Roover, Il banco de’ Medici. Dalle origini al declino (1397-1494), la Nuova Italia editrice, Firenze 1970.
Donatella Lippi, Illacrimate sepolture. Curiosità e ricerca scientifica nella storia delle riesumazioni dei Medici, Firenze University Press, Firenze 2006

Grazie a Dora/Francesca Panseri per questa approfondita analisi della figura di Giovanni de’ Medici, ovviamente come avete potuto ben intuire questo post NON è sponsorizzato né dalla Rai, né dalla Lux.

La prima licenza “poetica” o meglio storica, non da poco e totalmente inspiegabile (abbiamo anche chiesto il motivo senza ottenere risposta), l’ha già evidenziata Francesca, ma per un giudizio complessivo su questa nuova mega produzione televisiva ci rivediamo sempre qua dopo la prima puntata che (annunciata per il 17 ottobre) andrà in onda il 18 ottobre. Stessa ora, stesso canale. Prendete nota.

Marina

 

 Copyright foto: sito Lux Vide e pagina Facebook della serie.

La serie è su Rai Play –> qui

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