Le regine e le principesse delle favole fanno male ai bambini?

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Le principesse e le regine fanno male ai bambini? Secondo il Dipartimento per le Pari Opportunità assolutamente si, specialmente se appartengono al mondo delle fiabe. In un opuscolo diffuso all’inizio del 2014 il Dipartimento, dopo aver analizzato a fondo la questione, sconsiglia caldamente agli insegnanti di leggere ai bambini le fiabe tradizionali perché promuovono un solo modello familiare quello tradizionale: il principe sconfigge il cattivo, sposa la principessa, vissero felici e contenti e ciao.

Le storie su Cenerentola, Biancaneve & Co. sarebbero particolarmente sconvenienti perché incoraggiano un modello tradizionale di famiglia impedendo così identificazioni diverse. Nelle fiabe infatti si parla sempre e solo di matrimonio fra uomo e donna il che oggi pare non sia più tanto politicamente corretto. Inoltre questi racconti, specie quando i protagonisti sono re, regine, principi e principesse, possono – sempre a giudizio del Dipartimento di cui sopra – contribuire a instillare nei più piccoli alcune idee ritenute particolarmente balorde. Quali nello specifico?

Be’ le bambine sarebbero portate a sognare una “vie en rose” e ad aspettare per tutta la vita il principe azzurro; i maschietti dal canto loro, tirati su a forza di principi che sconfiggono i draghi e liberano l’amata, si sentirebbero autorizzati a utilizzare le maniere forti per far colpo sul genere femminile e risolvere i loro problemi quotidiani. Insomma, per il Ministero delle Pari Opportunità le fiabe sono tutte da rivedere, in barba a Perraul, ai fratelli Grimm e anche ad Andersen. E alla faccia di Walt Disney che ha dato un volto, un castello e un simpatico marito a tante principesse.

Gli studiosi convinti che le regine e le principesse facciano male ai bambini dimenticano però che questi personaggi immaginari praticano sempre – e idealmente insegnano – virtù come il coraggio, il senso del dovere, la fedeltà, la saggezza, la giustizia, la prudenza. E che le avventure di Cenerentola, della Bella addormentata nel bosco, di Biancaneve, del Principe Ranocchio, di Raperonzolo sono una metafora delle inevitabili difficoltà della vita: la loro soluzione sempre positiva incoraggi a trovare dentro e fuori di sé tutte le risorse necessarie per superare e  risolvere i problemi.

Sigmund Freud invece non ha dubbi i proposito: la fiaba così strutturata, e con questi personaggi, oltre ad essere un piacevole intrattenimento, aiuta a sviluppare la fantasia e contribuisce alla risoluzione catartica dei problemi del bambino in crescita. In effetti gli eroi delle fiabe spesso sono giovani che devono trovare la loro strada nel mondo, combattendo contro l’Orco e il loro iniziale fallimento è interpretato in molti casi come l’incapacità di emanciparsi dall’influenza dei genitori i quali non l’aiutano in questo processo di formazione.

Nel suo libro “Il mondo incantato” lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim analizza il significato psicologico della fiaba e l’aiuto che può offrire nel delicato periodo della crescita dell’individuo. Il racconto fantastico non solo evoca situazioni utili al bambino per elaborare le difficoltà della sua esistenza, ma proietta nel lieto fine l’integrazione di qualche conflitto interiore. Ad esempio Hansel e Gretel, che alla fine sconfiggono la perfida strega, dimostrano che è possibile superare la paura, frequente nel bambini, di essere abbandonati dai propri genitori; Pollicino invece è il piccolo uomo intelligente a sconfiggere il feroce e stupido gigante.

Ma cosa c’entra tutto questo con le regine e le principesse vere, quelle in carne e ossa, quelle che ancora oggi vivono in un castello e ogni tanto si mettono il diadema e sono diventate le nuove star e le icone del mondo moderno? 

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C’entra e anche parecchio perché le regine e principesse vere rappresentano la materializzazione dei personaggi delle fiabe. Elisabetta, Margaretha, Sofia, Kate, Màxima, Mathilde e tutte le altre sono l’incarnazione reale e concreta delle figure sepolte nella memoria, sono personaggi non più solo immaginari che è rassicurante e consolatorio ritrovare nella realtà. Inoltre in questo momento storico di grande difficoltà e sinistra recessione, le principesse con le loro nozze favolose, i gioielli sontuosi, gli abiti meravigliosi, spesso ci aiutano a sognare.

Non per niente il commento più frequente sotto alle foto delle nozze di William e Kate è: “Quella mattina ho proprio sognato…. Una favola in diretta tv!”. Più chiaro di così!

Ma c’è dell’altro. Le regine e le principesse di oggi – e anche molte di quelle del passato – sono spesso un esempio: di lealtà nei confronti del loro Paese, di abnegazione, di grande dignità e di rigore. La loro vita, evidentemente privilegiata, ha come contraltare una grande quantità di obblighi, l’esposizione costante ai media; esse sono continuamente osservate e scrutate e vivono 24 ore su 24 in “rappresentazione”. A differenza di una qualsiasi diva del piccolo o grande schermo, le principesse e le regine perdono la loro individualità diventando il simbolo stesso della nazione. Un ruolo difficile, per il quale serve una tempra notevole, e un percorso a ostacoli che va intrapreso con coraggio, determinazione, forza e amore.

Questi i motivi per i quali in luogo di essere esempi negativi le regine e le principesse possono invece davvero essere delle vere e proprie “pietre di paragone”.  Non tutto è facile per loro, nonostante i fasti e le ricchezze, ma la ricompensa sono l’amore, la stima, l’affetto e la riconoscenza di un intero Paese.   

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Qualche esempio:

Elisabetta II è salita al trono molto giovane alla morte di un padre amatissimo che le aveva insegnato cos’è il senso del dovere. Il suo “job” è venuto prima di qualsiasi altra cosa e gli inglesi gliene sono immensamente grati. Dopo 62 anni è ancora lì a rappresentare, molto degnamente, il suo Paese e anche il suo principe azzurro, conquistato e imposto, se lo è saputo tenere accanto con intelligenza;

Margaretha di Danimarca è stata anche lei una regina molto giovane che forse avrebbe voluto fare altro, cioè l’artista o magari l’archeologa come il nonno re di Svezia. Ma anche in questo caso si è sentita di avere un “impegno” verso la sua gente;

Màxima dei Paesi Bassi, una giovane donna venuta dall’altro mondo con un padre ingombrante, si è fatta accettare e amare da una suocera difficile e da una nazione perplessa e critica; inoltre ha domato quel noto scavezzacollo che era suo marito diventato oggi, anche grazie a lei un sovrano amato e rispettato.

E voi cosa ne pensate? Le fiabe che hanno come protagonisti principi e principesse sono davvero così “diseducative”? Personalmente sono convinta dell’esatto contrario e anzi credo che i personaggi reali rappresentino oggi il trait d’union fra sogno e realtà.

Quando è uscita la notizia che il Dipartimento per le Pari Opportunità aveva deciso di mettere al bando del favole con re  e regine ne ho parlato subito con la collega e amica Laura de’ Laurentiis che da anni scrive di infanzia ed educazione (ha pubblicato con Rizzoli Il grande libro italiano della gravidanza e Il grande libro italiano del bambino) ed è l’autrice del delizioso blog Nonna si diventa. Secondo noi le le principesse e le regine non fanno male ai bambini ma saremmo liete di confrontarci con tutti i lettori e le lettrici del blog sia qui sotto nei commenti che dal vivo giovedì 5 giugno a Milano nell’ambito del Festival della letteratura. Il luogo dell’incontro non è ancora stato definito ma sappiamo che sarà in zona centrale e che ci vedremo alle 18 e 30.

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