Addio Diana e un’ondata di emozione travolge il mondo

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Addio Diana, i funerali della principessa del popolo. Il 6 settembre 1997 l’abbazia accoglie l’ultimo saluto a Diana, ma il percorso che porta alla decisione di celebrare a Westminster le esequie della principessa è una strada tutta in salita partita dalla constatazione di un dolore e uno sgomento universali.

L’immensa ondata di disperazione collettiva per la morte di Diana, prima vera grande icona glamour del mondo globalizzato, è ancora oggi parzialmente inspiegabile. Per quale motivo la tragica scomparsa di una ricca ragazza aristocratica diventata principessa commuove senza distinzione di razza, età, origine sociale? Probabilmente perché la principessa di Galles, pur con tutte le sue incongruenze, è un’eroina del mondo contemporaneo; è la donna che ha detto no a un matrimonio rivelatosi senza amore e sta tentando di costruirsi una vita indipendente. Inoltre siamo alla fine degli anni ’90 e la Gran Bretagna è stanca dell’austerity imposta da Margaret Thatcher, la «Lady di ferro» e dal rigido e impassibile John Major. Tony Blair ha stravinto le elezioni e la libera, impetuosa, empatica e dolce Diana sembra incarnare lo spirito di una nuova nazione democratica. La bella principessa sembra così diversa da tutti gli altri membri di una famiglia reale, dedita con zelo quasi militare ai “royal duty”, ma così poco disposta a commuoversi e a emozionarsi, quanto meno in pubblico.

Così, nonostante un improbabile fidanzato e le lunghe vacanze extra lusso molto commentate e criticate, la morte improvvisa e assurda santifica Diana e la rende unica e profondamente rimpianta. La ragazza nevrotica capace di manipolare amici, ex amici e giornalisti, la provocatrice che più volte ha messo in imbarazzo non solo la regina, ma anche i suoi stessi figli diventa la «principessa del popolo», la «regina dei cuori» e il mondo sprofonda nel lutto. Ovunque sulla terra si piange una giovane donna che rappresenta agli occhi di tutti l’amore ferito e tradito, la solitudine dovuta alla mancanza di affetti, e i cui errori, commessi nella disperazione di una vita iniziata come una favola e invece andata a rotoli, dovevano essere giustificati.

Ci sono ragionevoli motivi per pensare che se Diana non fosse improvvisamente scomparsa in quel tragico incidente il suo mito non sarebbe mai nato. Dodi Al Fayed era un flirt passeggero usato per fare ingelosire Hasnat Kahn e sfidare la regina e la famiglia reale. Il viaggio a New York nel giugno precedente, in occasione dell’asta per i vestiti, e l’accoglienza ricevuta le avevano fatto balenare l’idea di trasferirsi oltreoceano e chissà, forse avrebbe finito con lo sposare un miliardario americano che le avrebbe garantito un’esistenza confortevole. In quello scorcio di estate del 1997 la stampa sta cambiando atteggiamento nei confronti della principessa di Galles, che compie missioni umanitarie e poi accetta l’ospitalità spendacciona, esageratamente sfarzosa e un po’ trash degli Al Fayed. Sembra che William non avesse apprezzato quelle vacanze da super ricchi e oggi si sa di una telefonata di fuoco fra Diana e il figlio maggiore infuriato per la sua relazione con Dodi.

L’incidente dell’Alma frena questa corrente di pensiero che quasi certamente avrebbe seriamente danneggiato la sua immagine e la indirizza nella direzione opposta: Diana, come tante altre persone morte giovani, ottiene ipso facto l’inevitabile beatificazione. Scomparsa tragicamente e ancora giovane, la principessa più famosa del mondo entra nella leggenda. Solo pochi giorni prima la stampa aveva iniziato a criticare certe scelte considerate inopportune ed esageratamente esibizioniste, ma adesso escono con titoli ad effetto: è «una farfalla che brillava di una luce che ha illuminato le nostre vite». Persino il serissimo «Times» parla di «una cometa passata nel cielo della vita pubblica che ha estasiato il mondo». In Italia L’Unità, il giornale del partito comunista, titola «scusaci principessa» accettando così di fatto l’opinione comune che dà la colpa dell’incidente ai giornalisti assetati di scoop.

Le numerose inchieste successive lo proveranno senza ombra di dubbio: Diana non è stata uccisa dai fotografi che lei stessa, in altre occasioni, aveva usato e, molto probabilmente erano stati allertati da Al Fayed padre, troppo felice della pubblicità per la sua famiglia. Diana non è stata assassinata dall’M16 su ordine della regina o del principe Filippo. La principessa di Galles è morta perché l’autista della Mercedes aveva bevuto troppo e imbocca il pericoloso tunnel dell’Alma a una velocità esagerata. Come dice Antonio Caprarica, «quel che l’ha uccisa è stata l’incompetenza degli uomini della sicurezza quella notte a Parigi. Fine della storia».

La scomparsa di Diana è uno shock anche per Buckingham Palace; la monarchia vive giorni di grande confusione e incertezza non solo sul da farsi, ma anche su come manifestare le proprie emozioni. Funerale privato oppure esequie pubbliche, dolore intimo nello stretto riserbo di Balmoral oppure lacrime platealmente esibite? La regina è una donna riservata e in quel momento ci sono di mezzo anche un adolescente e un ragazzino diventati improvvisamente orfani. Sono il principe Carlo e il Primo ministro Blair a far capire a Elisabetta II che è assolutamente necessaria un’inversione di rotta e lei, dotata di un grande acume politico, accetta il consiglio e ci mette del suo.

La morte della principessa di Galles costringe la monarchia a cambiare, in modo evidente, deciso e soprattutto veloce. Primo segnale di questa inversione di rotta sono le decisioni in merito agli onori da tributare a quella che è solo la ex moglie dell’erede al trono. Il principe di Galles è il motore di questa veloce inversione di rotta perché, unico nella famiglia, ha subito compreso quanto la morte della ex moglie stia sconvolgendo il mondo e le persone comuni. Sono i sensi di colpa a guidare le scelte che Carlo impone persino alla madre? Forse sì, almeno in un primo momento, ma emergono anche altre considerazioni: c’è la disperazione dei figli, ci sono i titoli dei giornali violentissimi contro la casa reale e la monarchia accusata di insensibilità.

Nelle ore immediatamente successive al tragico incidente il principe, vola a Parigi su un aereo della RAF insieme alle cognate per riportare in patria il corpo di Diana e poi, con coraggio e determinazione, compie una scelta ancora più incisiva: in attesa del funerale fa deporre il feretro nella Royal Chapel del palazzo di Saint James, uno dei luoghi simbolo della monarchia britannica. A Londra l’atmosfera è luttuosa, il cancello di Kensington Palace, si sta coprendo di fiori e nel tragitto fra l’aeroporto e Saint James, non solo le auto si fermano ma, al passaggio del feretro, le persone escono in mezzo alla strada per chinare la testa.

In quello stesso 31 agosto inizia anche il duro confronto fra il principe di Galles, la regina e gli Spencer a proposito del funerale. Quando muore un membro della famiglia reale la procedura (chiesa, fiori, bandiere, scorta militare) si mette in moto automaticamente, ma in questo caso è tutto diverso.

Appoggiato dal Primo ministro Blair, che  ha perfettamente compreso la portata dell’ondata di dolore collettivo, il principe Carlo chiede esequie pubbliche; certo non un funerale di Stato, una cerimonia unica per una persona unica. La celebrazione familiare in forma privata, caldeggiata dalla regina, era stata la scelta giusta per l’altro personaggio scomodo della famiglia, la duchessa di Windsor, ma Diana non può essere trattata allo stesso modo. Per la principessa ci vuole un evento nazionale su larga scala che rappresenti anche la catarsi di un dolore diventato in breve quasi un’isteria collettiva.

Al principe di Galles va il merito di avere intuito che Diana deve avere un omaggio reale e non solo perché lo merita, ma anche perché la reazione della gente ha evidenziato come ormai questa scomparsa tragica e improvvisa non sia più solo un doloroso evento familiare. Su richiesta della famiglia, Diana passa l’ultima notte prima delle esequie nella hall del suo appartamento di Kensington Palace dove viene portata la sera del 5 settembre dopo l’ultimo straziante saluto da parte dei figli. Quello stesso giorno la regina ha ricordato in diretta televisiva la ex nuora; la sovrana non ha i toni accorati di Tony Blair ma è visibilmente scossa. Elisabetta parla al suo popolo dal profondo del cuore, «come una nonna».

La mattina del 6 settembre la bara viene caricata su un affusto di cannone della King’s Troop Royal Horse Artillery trainato da sei cavalli neri. Come era avvenuto nel 1979 per Lord Mountbatten, assassinato dall’Ira, e come sarà per la Queen Mum nel 2002. Alle 9 e 08 il corteo inizia il suo lungo tragitto in una Londra immersa in un silenzio surreale rotto solo dal rumore degli zoccoli dei cavalli. Sul feretro sono stati posati dei gigli bianchi, una corona di rose rosa e un piccolo bouquet di rose bianche con un biglietto sul quale una mano infantile ha scritto “Mummy”. È il saluto di Harry che fra poche settimane compirà tredici anni. Un colpo al cuore per tutti e un’immagine difficile da dimenticare, come quella dei due principi che a testa bassa seguono la bara della madre affiancati dal principe di Galles, dal duca di Edimburgo, e dal conte Spencer. Si saprà dopo che William si era ribellato all’idea di dover seguire il feretro della sua mamma e anche Harry avrebbe preferito farne a meno, ma il nonno promette di camminare accanto a loro per sostenerli nella difficile prova. In questo frangente il rude, sbrigativo e poco diplomatico duca di Edimburgo mostra un lato sconosciuto del suo carattere e per tutto il tragitto parla sottovoce a William per incoraggiarlo.

Lo spettacolo, estremamente patetico, dei due principi che, composti e dignitosi nel loro dolore, accompagnano la madre durante l’ultimo viaggio commuove anche i cuori più gelidi. E anche questo è un grande atto di coraggio di Carlo che si espone alla  folla senza sapere quale sarebbe stata la reazione della gente. Si dice che lo zio Spencer avesse fatto di tutto per impedire ai nipoti di partecipare al corteo, ma Diana non si tirava indietro davanti alle difficoltà e aveva allenato i figli anche ai lati duri della vita, quindi avrebbe sicuramente apprezzato la presenza dei suoi due amatissimi figli. I ragazzi tengono il capo chino per tutto il tempo e non vedono le migliaia di persone assiepate lungo tutto il percorso. 

In seguito William e Harry hanno parlato di quella terribile giornata. «È stata una delle cose più difficili che io abbia mai fatto – ha detto il figlio maggiore – però mi sembrava che lei stesse camminando accanto a noi per aiutarci». William racconta di avere provato una sensazione di scissione «tra il mio ruolo di principe e quello di un ragazzo che ha appena perso la madre e vuole solo chiudersi nella sua camera a piangere» e che il nonno Filippo aveva detto a lui e al fratello: «Se lo faccio io, lo fate anche voi?». Harry invece ha confessato di avere cercato in ogni modo di trattenere le lacrime e di ricordare poche cose fra cui le mani delle persone bagnate dalle lacrime appena asciugate. In un’intervista alla BBC il principe Harry ha anche difeso il modo in cui il padre si è preso cura dei figli dopo la morte di Diana: «È stato lì per noi e una delle cose più dure da fare per un genitore è dire ai figli che l’altro genitore è morto».

Addio Diana: l’itinerario del funerale

Il feretro di Diana percorre Kensington High Street, verso il Wellington Arch per prendere Constitution Hill. All’angolo con il recinto di Buckingham Palace, la famiglia reale al gran completo attende il corteo; insieme alla sovrana ci sono i figli, la sorella Margaret, i nipoti, i cugini, i duchi di Gloucester e Kent, la ex nuora Sarah Ferguson con le sue bambine e, al passaggio della bara, tutti chinano mestamente il capo in segno di omaggio e saluto. Davanti a Buckingham Palace il corteo imbocca The Mall dove, all’altezza di Marlborough Road, si uniscono gli uomini della famiglia, i principi William e Harry, il principe di Galles, il duca di Edimburgo e il conte Spencer e i 500 rappresentanti delle associazioni e degli enti di beneficenza patrocinati da Diana. Poco prima della fine di The Mall il corteo svolta a destra per prendere Horse Guards Road fino alla Horse Guards Parade (dove per dodici volte Diana ha assistito al Trooping the Colour, la parata per il compleanno della regina) e passare sotto l’arco del palazzo della Horse Guards. Qui il corteo funebre gira a destra lungo Whitehall e Parliament Street e attraverso i Parliament Square Garden giunge a Westminster.

Il corteo arriva davanti al portale occidentale dell’abbazia alle 11 e il feretro, accolto dai rintocchi della campana tenore, viene portato dentro a spalla da otto soldati delle Welsh Guards.

Addio Diana: la cerimonia

All’interno dell’abbazia attendono 1900 invitati che nel loro insieme sono davvero una strana adunanza: accanto ai rappresentanti delle famiglie reali europee (a dire il vero tutti personaggi di secondo piano visto che Diana non è più la moglie dell’erede al trono e non ha mantenuto grandi contatti) ci sono gli amici: la regina Noor di Giordania, Henry Kissinger, Valentino, Donatella e Santo Versace, le first ladies Bernadette Chirac e Hillary Clinton. Sotto alle volte medievali i grandi nomi della politica e della società civile britannica si mescolano a una folla di personaggi del mondo dello spettacolo fra cui Steven Spielberg, Tom Hanks, Tom Cruise e Nicole Kidman, Diana Ross, George Michael, Sting, Chris de Bourgh e Luciano Pavarotti.

La musica è quella pomposa dei funerali reali, ma ci sono due brani che toccano il cuore dei presenti: l’inno anglicano “I Vow to thee my Country”, lo stesso scelto da Diana per la cerimonia nuziale, e “Candle in the Wind” che Elton John aveva composto per Marlyn Monroe e riadatta in onore della sua amica.

Durante la cerimonia prendono la parola Tony Blair, le sorelle di Diana – Lady Sarah e Lady Jane – e infine Charles Spencer il quale, con un inatteso colpo basso, riversa sulla famiglia reale tutto il proprio rancore e si auto proclama paladino e difensore dell’amatissima e indimenticabile sorella. Lord Spencer inoltre dice che veglierà sui due giovani principi perché le loro anime non siano «soffocate dal dovere». Peccato che l’ottavo conte Spencer fosse da tempo in pessimi rapporti con Diana alla quale, non solo aveva richiesto indietro il famoso diadema delle nozze, ma aveva negato l’uso di un cottage nella tenuta di Althorp con la scusa che la sua presenza avrebbe portato troppa confusione.

La regina non batte ciglio durante la requisitoria di Charles Spencer, di cui fra l’altro è madrina di battesimo, ma i rapporti con la famiglia si congelano definitivamente.

Quel giorno due milioni di persone nel mondo guardano la diretta televisiva del funerale. «Matrimonio e morte di Diana – scrive Tina Brown nel suo “Lady Diana Chronicles” – esaltarono la stessa visione della monarchia. Diana dona alla Corona la capacità di comprendere il grande potere dei semplici gesti di cortesia. E quanto alle volte sia utile mostrare le emozioni». L’istituzione millenaria compie una profonda autocritica e si avvia verso un rinnovamento drastico che non è solo un’inversione di rotta ma un ritorno ai gesti e alle azioni che, durante la guerra, avevano reso eroi popolari Giorgio VI e la regina Elizabeth.

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