2 giugno 1953, il giorno più lungo di Elisabetta II

Il giorno più lungo di Elisabetta II inizia alle 8 e 30 del 2 giugno 1953.
Quando il 21 aprile 1926 viene al mondo la primogenita dei duchi di York nessuno immagina che la prima nipote di re Giorgio V e della regina Mary (i quali da genitori austeri e freddi si trasformano in nonni adoranti) avrà un grande futuro. Invece al 17 di Bruton Street, la residenza londinese dei conti di Strathmore i genitori della duchessa di York, nasce una futura regina.
Elisabetta II regna da 68 anni e nella sua vita non si contano più i momenti importanti e decisivi, ma uno solo è stato il giorno più lungo. Il giorno in cui ha ricevuto le insegne del regno ed è stata unta con l’olio sacro sotto le volte dell’abbazia di Westminster.
Ma non si tratta solo di un rito millenario, carico di simbolismi e di storia; nella Gran Bretagna del 1953, ancora sottoposta al razionamento post bellico e faticosamente impegnata nella riparazione dei danni provocati dai bombardamenti tedeschi, l’incoronazione rappresenta, dopo gli anni durissimi della guerra, anche l’inizio di un’epoca nuova e il principio di una nuova era di prosperità e benessere.
L’incoronazione dei sovrani inglesi (praticamente immutata dai tempi di re Edgar che riceve la corona a Bath nel 973) non ha uguali negli altri paesi europei ed è una liturgia quasi magica capace di rendere l’essere umano simile al divino. Attraverso questa cerimonia, una via di mezzo fra un’ordinazione sacerdotale, una consacrazione e il sacramento nuziale, la Chiesa dà vita ad una “mixta persona”, unica nel suo genere, metà laica e metà sacerdote. Il rito non è fine a se stesso perché, non solo conferma e consacra il contratto politico fra il monarca e il suo popolo, ma grazie al mistero della fede rende questo patto un accordo sacro fra il sovrano e Dio.
L’incoronazione di Elisabetta II, pur nel totale rispetto della millenaria tradizione contiene un’importante innovazione: nonostante alcune forti obiezioni, fra cui quella del Primo ministro Winston Churchill, ma grazie all’appoggio incondizionato del principe Filippo duca di Edimburgo (presidente del comitato organizzatore dell’evento), le telecamere della BBC per la prima volta riprendono la cerimonia quasi per intero per trasmetterla in tv. Solo il sacro momento dell’unzione verrà oscurato per rimanere invisibile e intimo.
In vista di questo evento unico e straordinario Elisabetta II chiede a Norman Hartnell, suo sarto di fiducia, un abito particolare: la linea svasata è la stessa del suo vestito da sposa ma questa volta sulla gonna sono stati letteralmente seminati tutti gli emblemi floreali delle province del Regno Unito e dei paesi del Commonwealth. Il risultato è un vestito spettacolare coperto di ricami gioiello con la rosa Tudor inglese in seta rosa, perle, argento, oro e diamanti rosa, il cardo scozzese di seta mauve con diamanti e ametiste, il trifoglio d’Irlanda in seta verde, il porro del Galles in seta bianca e diamanti, e poi la foglia d’acero canadese, la mimosa australiana, la felce neozelandese, la protea sudafricana e i fiori di loto di India e Ceylon. Un insieme reso ancora più sontuoso dai gioielli indossati dalla sovrana che nel tragitto fra Buckingham Palace e Westminster a bordo della Gold State Coach e durante il corteo di ingresso indossa il diadema di Stato di Giorgio IV insieme al collier e agli orecchini di brillanti della regina Vittoria. Nell’abbazia hanno già preso posto oltre 700 persone, fra cui Churchill, che indossa l’abito e il manto dell’Ordine della Giarrettiera, i pari del regno, i comandanti militari, molti eroi di guerra e i rappresentanti di molte delegazioni straniere. Naturalmente è presente tutta la famiglia reale al completo fra cui tre nipoti della regina Vittoria che assistono alla loro quarta incoronazione: la principessa Luisa, la principessa Alice di Albany e la principessa Patricia di Connaught
Alle 11 del 2 giugno, quella che all’epoca è la più giovane sovrana del mondo, entra a Westminster seguita da sei damigelle che reggono un pesante manto di velluto cremisi bordato di ermellino. La regina è emozionata ma serena e, un attimo prima che il corteo si metta in movimento, si volta verso le damigelle e dice loro sorridendo “all right, girls”. Elisabetta è preceduta dai cappellani di corte, dai dignitari delle Chiese di Inghilterra e di Scozia, dai rappresentanti degli ordini cavallereschi (Giarrettiera, Impero Britannico, San Michele, San Giorgio, Bagno e Cardo), dagli stendardi dei suoi domini, dai primi Ministri degli Stati del Commonwealth, dagli arcivescovi di York e Canterbury, dal duca di Edimburgo e dai dignitari con i gioielli dell’incoronazione: la corona di Sant’Edoardo, lo scettro alla cui sommità si trova il Cullinan I, la mano di Giustizia, la spada e il globo.
La cerimonia, la cui regia è stata affidata al maresciallo di corte il duca di Norfolk primo pari del regno, si svolge con una precisione cronometrica. Il rito, che durerà quattro ore, inizia quando Elisabetta si mostra ai sudditi in direzione dei quattro punti cardinali, presentata da altrettanti alti dignitari della Corona i quali chiedono ai presenti di rivolgerle un formale omaggio inneggiando “God save the Queen”. La regina quindi siede sulla Chair of Estate per rispondere alle domande dell’arcivescovo di Canterbury poi, inginocchiata davanti all’altare, pronuncia il solenne giuramento.
Dopo avere rivestito una tunica bianca la sovrana si sposta sulla King’s Edward Chair, ovvero sedia di Edoardo “Il Confessore” (sotto al quale si trova la pietra di Scone), la Coronation Chair, il trono dove si svolge l’istante più intenso e solenne della cerimonia: l’unzione. L’arcivescovo di Canterbury preleva alcune gocce di olio sacro e traccia una croce sulla testa, sul petto e sui palmi delle mani di Elisabetta II pronunciando la frase rituale: «Come Salomone è stato consacrato dal sacerdote Zadok e dal profeta Nataniele, tu sia consacrata regina dei popoli che il Signore ti ha dato da dirigere e governare». Durante questa fase, la più emotiva e intesa, la giovane Elisabetta II viene nascosta agli occhi dei presenti con un baldacchino di seta sorretto da quattro cavalieri della Giarrettiera. Segue l’investitura con la consegna degli speroni, che rappresentano l’antica cavalleria medievale, della spada di Stato, i braccialetti d’oro, lo scettro, il globo e un anello a simboleggiare il “matrimonio” con la nazione. Infine sul capo della regina viene viene posata la corona di Sant’Edoardo che in realtà risale all’epoca di Carlo II Stuart.
Durante le varie fasi l’orchestra e il coro intonano il solenne Zadok the Priest, brano composto da George Frederick Händel per l’incoronazione di Giorgio II nel 1727.
Elisabetta viene quindi scortata verso il trono al centro dell’abside per ricevere gli onori del clero, del marito, il duca di Edimburgo, dei duchi reali e dei Pari del Regno. Al termine dell’omaggio la regina abbandona la corona di Sant’Edoardo per cingere la Corona imperiale di Stato (più leggera e sfavillante di gemme come lo zaffiro degli Stuart, il rubino del Principe Nero e il Cullinan II, un diamante da oltre 300 carati) e insieme al suo seguito esce dall’abbazia fra gli hourrà della folla.
Più di tre milioni di inglesi si affollano lungo il tragitto da Buckingham Palace a Westminster e alcuni per avere i posti migliori non esitano ad accamparsi per due giorni e due notti. Nel regno 27 milioni di spettatori (300 milioni nel mondo) guardano l’evento in tv; si tratta della prima comunione di massa fra popolo e monarchia che inaugura l’era dei grandi show e cambia per sempre la percezione, fino a questo momento reverenziale, della figura del sovrano.
In onore della nuova sovrana e della sua incoronazione vengono creati centanaia di royal commemorative di ogni genere e materiale fra cui anche moltissime commemorative pottery. All’incoronazione è dedicato anche un piatto diventato molto popolare e diffuso in Gran Bretagna, il “Coronation Chicken” che nel 2012, rivisto e aggiornato, è diventato “Jubilee Chicken”.
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